“DEVIANZA E ACCOGLIENZA” - Ed. SEAC, Roma, 1998

Interventi di: Stefano Anastasia - Massimo Campedelli - Diego Chialant - Livio Ferrari - Giuseppe Magno - Alessandro Margara - Salvatore Rizza - Pierpaolo Romani - Don Sandro Spriano - Sebastiano Zinna.

Il dibattito che in questi anni ha coinvolto il Paese sui temi della giustizia ha spostato di molto l'angolatura della discussione e il grado di attenzione rispetto al mondo della devianza, in quanto la contesa è stata monopolizzata dai reati per corruzione e finanziamenti politici illeciti. E’ accaduto, infatti, che i grossi interessi che ruotano attorno a queste. tematiche abbiano oscurato le problematiche che investono le persone che hanno commesso i cosiddetti "reati comuni", i giovani che si trovano impigliati nelle reti della tossicodipendenza, e tutte quelle persone che la nostra società dimostra di accettare meno: stranieri e malati di aids. Il quadro si completa se aggiungiamo un ulteriore particolare che attraversa globalmente questa umanità, cioè che la maggior parte è gente economicamente povera e spesso investita da patologie psichiatriche.

Il Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario - SEAC, attraverso questo trentunesimo convegno nazionale, ha voluto verificare che atteggiamenti produce questa società nei confronti di chi commette un reato, cioè se oltre a giudicare e condannare sa anche perdonare ed accogliere. Tutto ciò non in maniera semplificante ma riflettendo sulle cause della devianza che ha radici in un territorio difforme: diversità enormi tra grossi centri urbani e periferie, tra nord e sud d'Italia, tra troppi stranieri senza prospettive di reale integrazione e una moltitudine di giovani in possesso di un titolo di studio di disoccupazione. E’ in mezzo a questa gente che fa fatica, che ha minori opportunità soprattutto culturali, dove la legalità assume significati e forme molto diverse dalle comuni accezioni, che si insinua il bisogno, e la disperazione è il naturale sbocco di una quotidianità a dir poco precaria e con la prospettiva di un futuro sempre più fosco.

Pertanto, pensare all'accoglienza oggi significa in primo luogo contribuire a ridare dignità ad ogni esistenza in difficoltà, un obbiettivo al quale non può venir delegato unicamente il volontariato e il terzo settore ma deve essere perseguito in primo luogo dallo Stato. Non solo attraverso enunciati di principio, ma con progetti ed iniziative concrete che coinvolgano ogni componente sociale, sia pubblica che privata, per ridurre le distanze tra chi sta bene e chi sta male, dove si ritrovi il giusto equilibrio tra carità e giustizia, affinché la prima non serva solo a colmare i vuoti della seconda e il carcere non continui a restare il lazzaretto del rimosso collettivo.